mercoledì 16 dicembre 2015

C'è sempre una prima volta...

...e questa è la storia della mia prima volta che esco a metà di uno spettacolo teatrale.




E' capitato ieri sera: al Sociale di Bellinzona c'era “Qualcuno volò sul nido del cuculo” che molti di voi ricordano per il famoso film americano tratto da un libro altrettanto a stelle e strisce di Ken Kesey.
Orbene, tale Maurizio de Giovanni e il teatro e fondazione di Napoli - con la regia di Gasmann - ne adattano il testo spostandolo in italia e più precisamente ad Aversa nel 1982. E fin qui, nulla da dire. 
Peccato che ne sia uscita una rappresentazione parateatrale semidialettale in napoletano a volte stretto che impediva di capire cosa cazzo dicessero i pur bravi attori.
Ci sono i famosi sette internati, un’ infermiera e una suora, due addetti alle pulizie e il medico. Ora, chi recita per almeno l'ottanta per cento dello spettacolo è il protagonista: lui parla come se fosse un personaggio di De Filippo, così come i due addetti. E' vero che c'è anche uno dei pazienti che spiccica quattro frasi in emiliano ma si autotraduce quando pronuncia cose poco comprensibili.
Io non ho nulla contro il dialetto partenopeo quando la commedia è tale – appunto il grande De Filippo, per fare un esempio - ma questo spettacolo avrebbe stonato comunque se fosse stato parlato in veneto piuttosto che in un altro dialetto. 
Mentre l'adattamento ha sicuramente senso per poter meglio incanalare in pochi metri quadri le varie atmosfere più vicine al senso e al gusto nostro, l'uso di un qualsiasi dialetto è da giro di chiglia: a meno che non si volesse trasporre l'opera in una commedia dialettale. A questo punto però te la guardi dove la comprendono, non la porti in giro neanche per l'italia e figurarsi all'estero. Qui hanno toppato alla grande sia il direttore del teatro che il regista che a mio avviso hanno preteso troppo. Non per niente il teatro era semivuoto e ho la certezza che chi ha riso, almeno sino alla fine del primo atto, lo ha fatto perché parla come il protagonista o sull'assoluta fiducia.

Insomma ho passato con la mia signora (che non mai riso, anzi era immobile in modo preoccupante. Poi mi ha spiegato che si sforzava di non perdere neanche una parola, l’illusa) la prima ora e quaranta a seguire con fatica. Gli attori hanno bravura da vendere ma mi sono annoiato e ci è scappato pure uno sbadiglio contenuto a fatica. Sì, come l'Imperatore Giuseppe II nel film di Forman quando ascolta Mozart che dirige Le nozze di Figaro: sbadigliando interrompe la rappresentazione.  In verità andò in modo diverso: non sbadigliò per noia ma per impedire che venisse chiesto il bis, altrimenti l'esecuzione di un'opera già di per sé lunga sarebbe continuata all'infinito. E annoiandomi chatwinamente mi chiedevo "che ci faccio qui?". Così, nell'intervallo, un paio di sguardi d'intesa con la mia signora sono bastati per andare con nonchalance verso il guardaroba e poi uscire come se fosse la cosa più naturale del mondo.