martedì 22 ottobre 2013

Il mercante di Venezia

Quando, mesi or sono, si parlava con alcune persone di andare a vivere in montagna, fra le varie domande posteci -  per la serie "sono geloso del fatto che te ne vai e allora ti trovo mille motivi per farti sentire infelice" - c'era quella "Ma se una sera vuoi andare a teatro come fai?" Ora io avrei risposto "Con la macchina?" e mi sarei anche trattenuto, ma la mia signora è decisamente più diplomatica e ha usato più parole per esprimere lo stesso concetto. In ogni caso a teatro ci andiamo comunque. A Bellinzona, il teatro sociale ha una stagione ricca di commedie, tragedie, monologhi e altre forme varie di spettacolo. Per stare sul sicuro abbiamo scelto la serie Chi è di scena, formata da sette spettacoli sino a Aprile e che sono:


Il mercante di Venezia
Il teatrante
Alice Underground
Gl'innamorati
L'importanza di chiamarsi Ernesto
Variazioni enigmatiche
L'attesa.

Vi presento Il Mercante di Venezia che verrà rappresentato domani, 23 Ottobre al Teatro Sociale di Bellinzona.

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Il Mercante di Venezia




Il mercante di Venezia (The Merchant of Venice) è un'opera teatrale di William Shakespeare, scritta probabilmente tra il 1596 e il 1597.
La trama dell'opera riprende abbondantemente quella di una novella trecentesca di ser Giovanni Fiorentino, detta Il Giannetto, prima novella della giornata quarta della raccolta di cinquanta detta Il Pecorone, che Shakespeare ebbe modo di conoscere nella traduzione di William Painter. In particolare del Giannetto vengono conservati, pressoché intatti, i personaggi corrispondenti a Bassanio, Shylock e Porzia, oltre che la vicenda della penale di una libbra di carne. Si tratta di una dark comedy.

Venezia, XVI secolo. Bassanio, giovane gentiluomo veneziano, vorrebbe la mano di Porzia, ricca ereditiera di Belmonte. Per corteggiare degnamente Porzia, chiede al suo carissimo amico Antonio 3.000 ducati in prestito. Antonio, pur amando Bassanio, non può prestargli il denaro, poiché ha interamente investito nei traffici marittimi. Tuttavia garantirà per lui presso Shylock, ricco usuraio ebreo. Shylock è disprezzato dai cristiani e a sua volta li disprezza. Soprattutto non sopporta Antonio, il mercante di Venezia, che presta denaro gratuitamente, facendo abbassare il tasso d'interesse nella città, e che lo umilia pubblicamente con pesanti insulti.
Nonostante ciò, Shylock accorda il prestito a Bassanio, con Antonio come garante. L'ebreo però, in caso di mancato pagamento, vuole una libbra della carne di Antonio. Bassanio cerca di far desistere Antonio dal fargli da garante, ma lui è sicuro di poter saldare il debito, dato che tre navi sono in viaggio per riportare a Venezia ricchezze tre volte più grandi. Il tempo concesso per il saldo del prestito è di tre mesi, mentre le navi arriveranno tra due. Bassanio si reca a Belmonte; i pretendenti di Porzia però, secondo la volontà del suo defunto padre, per ottenere la sua mano devono scegliere, fra tre scrigni contrassegnati da un indovinello, quello giusto. Bassanio, scegliendo il più modesto, ci riesce e sposa Porzia, già precedentemente innamorata di lui. Invece l'amico di Bassanio, Graziano, sposa la serva di Porzia, Nerissa.
Intanto la sfortuna si accanisce su Shylock: sua figlia Jessica infatti, aiutata da Lancilotto, fugge di casa sposando un cristiano di nome Lorenzo, amico di Antonio e Bassanio. La ragazza è fuggita portando con sé 2.000 ducati e soprattutto lo scrigno contenente l’anello donato a Shylock dalla defunta moglie. L'unica consolazione di Shylock deriva dalla pari sfortuna di Antonio: infatti le sue tre navi sono disperse in mare cosicché non potrà saldare il debito. Nel frattempo Porzia e Nerissa donano ai rispettivi mariti un anello, segno del loro amore, facendo promettere loro di non separarsene mai finché l'amore li legherà alle loro consorti.
Shylock porta Antonio di fronte al Doge e alla corte e chiede di far valere i suoi diritti. Nonostante la crudeltà della proposta, il Doge non può rifiutare di applicare la legge perché il caso creerebbe un precedente dannoso per lo stato. Bassanio e Graziano partono immediatamente in aiuto di Antonio. Porzia, all'insaputa di tutti, si traveste da avvocato per salvare Antonio. Nerissa la segue vestendosi da scrivano ed a custodia della casa vengono lasciati Lorenzo e Jessica.
Una volta giunta in tribunale, Porzia, sotto le spoglie dell'avvocato Baldassarre consulente del Doge, invita Shylock ad accettare 6000 ducati offerti a lui da Bassanio, ormai ricco per avere sposato Porzia, al fine di estinguere il debito dell'amico ed essere misericordioso. L'odio dell'usuraio per i cristiani, fomentato dall'abbandono della figlia, gli impedisce di desistere. Shylock, anzi, chiede a gran voce che gli sia pagato il debito con la libbra di carne di Antonio, come da accordo. Baldassarre finge di essere d’accordo con lui su tale diritto, citando l’Editto degli Stranieri, ma gli comunica che, dato che il contratto parla solo di carne, se avesse versato anche una sola goccia di sangue i suoi beni sarebbero stati divisi tra Antonio e lo stato e lui condannato a morte. Il Doge gli concede in grazia la vita ed Antonio rinuncia alla sua parte purché venga ceduta alla morte alla figlia Jessica e Shylock si converta al cristianesimo, pena assai più grave per l'usuraio. In queste condizioni Shylock, sconfitto, rinuncia ai suoi propositi.
Bassanio si complimenta con Baldassarre per aver salvato il suo amico e gli chiede un modo per ringraziarlo. L'avvocato gli chiede solo il suo anello. Bassanio esita, a causa del valore affettivo dell'anello, ma spinto dall'onore e dalla gratitudine finisce per cederlo. Lo stesso è obbligato a fare Graziano per lo scrivano.
Quando tutti i cristiani giungono a Belmonte, Porzia e Nerissa chiedono ai mariti gli anelli, ma entrambi spiegano l'accaduto. Quindi le due donne fanno credere di aver trascorso una notte con i nuovi possessori dell’anello per riaverli, prima di rivelar loro che l’avvocato e il suo assistente erano in realtà esse stesse. Antonio fa di nuovo da garante per Bassanio che giura di non separarsi mai più dall’anello. Successivamente Nerissa riferirà a Lorenzo che i beni di Shylock saranno suoi e di Jessica dopo la morte dell'ebreo. Nel frattempo si viene a sapere che le tre navi di Antonio sono tornate sane e salve in porto.



Note di regia: di Valerio Binasco


Tutto gira intorno a un gruppo di amici.
Gli eroi di questa storia non sono degli eroi. Stanno in seconda e terza fila nella vita. La guardano dal tavolino di un bar. In apparenza sono dei ricchi sfaccendati che si divertono molto ad essere ricchi e sfaccendati, ben identificati col loro ‘clan’ che è composto solo da ricchi e sfaccendati.
Ma è solo apparenza. A ben vedere hanno delle inquietudini. Delle malinconie. Hanno dentro una spinta che li porta al gesto rischioso, all'avventura.  Il fatto che siano sempre avventure condivise con gli amici fa di loro degli eroi un po’ paesani, creatori di aneddoti più che di leggende. La legge della loro vita è fare della vita un gioco fatuo. Nel momento in cui tale legge è condivisa, diventa identificante. Al punto da perseguitare chi è diverso, come per es. Shylock, che con tutta la sua serietà antica sembra minacciare una società di fatui giocatori.

Detto così sembra semplice, eppure è tutto così inafferrabile , nel Mercante, così assurdo che si rischia di cedere alla tentazione di raccontarlo pesantemente, come una cupa contro favola  Cosa sono le contro favole  Sono storie che sembran favole, ma fan sorridere solo gli adulti, che sorridono perché han perso ogni speranza. Si sentono maestri della disperazione e dell’insensatezza. Noi non dobbiamo cedere a questa tentazione. Noi dobbiamo sforzarci di fare di questo Mercante una storia che possa essere capita e apprezzata anche dai bambini. Anzi: noi dobbiamo fare del mercante una grande favola, e una festa del teatro. Cioè della speranza.

A ben vedere le note del regista potrebbero limitarsi a questa intenzione.
Visto però che parliamo di adulti, veniamo al punto più serio della faccenda: si è parlato (e si è taciuto) molto dell’antisemitismo di questo testo. Arnold Wesker ha scritto parole piene di furia e di saggezza per sconsigliare chiunque dal mettere in scena il Mercante. Ho riflettuto a lungo sul suo scritto. Poi sono giunto a queste conclusioni:

Per quel che mi riguarda, è una storia sulla persecuzione della diversità.

Mi trovo dunque completamente d’accordo con Auden quando dice: “Nel mercante di Venezia le differenze religiose sono tratteggiate in modo fatuo: non è un problema di fede, ma di conformismo. L’essenziale, riguardo a Shylock, non è che un eretico o un ebreo, ma che è un outsider”.
Outsider, qui, vuol dire qualcosa di più di diverso. Vuol dire proprio straniero. Estraneo.
L’unico aspetto religioso presente nell'opera  secondo me, non riguarda i rapporti dell’individuo con l’aldilà, ma con l’aldiqua. Mi pare che l’Antico Testamento ispiri un modo antico di approcciare la vita. È solo questione di stile. Shylock ha uno stile antico. Ha uno stile ‘serio’, da antico testamento, appunto. I veneziani invece sono troppo frivoli; e Shylock è troppo serio. Ed è un outsider perché è l’unico personaggio serio del Mercante.

È una divertentissima commedia. Tuttavia, appena ci si imbatte nel Mercante di Venezia si prova – oltre alla gioia di leggerlo – anche un certo cupo disagio. La nostra immaginazione si affatica a trovare un filo coerente e rassicurante, e ci scopriamo a cercare di dare un’identità plausibile e credibile a quegli strani personaggi che stiamo incontrando. Cerchiamo di identificarci con qualcuno. Ma, devo essere sincero, con scarso successo. Il filo narrativo resta assai poco rassicurante, e i personaggi non smettono di inquietarci e di rimanere estranei. E tuttavia sentiamo che abbiamo a che fare con una grande opera, pena di vita . Decidere di portare in scena Il Mercante vuol dire decidere di fidarsi di quel vago e oscuro sentire, e seguirlo. Dove ci porterà, andremo. Il testo ci appare semplice e schematico come un’antica favola. Dovremo inoltrarci nelle molte zone oscure (le antiche favole sono luminose e oscure insieme) che risultano assai più chiare per il nostro istinto che non per la nostra capacità di comprendere. Nelle antiche favole tutto è ugualmente creato con il buio dell’inconscio simbolico, e con la luce delle cose e dei fatti reali. Le antiche favole sono di terra e di fuoco. Inoltre, nonostante tutto, le antiche favole sembrano tracciare una strada attraverso l’impossibile. Per noi uomini contemporanei le antiche favole sono una mappa celeste per trovare, ogni tanto, qualche stella nel buio dell’assurdo vivere. Ma, in questo senso, il Mercante sembra che ci spinga altrove. Verso uno strano buio collettivo. Pur essendo in tutto e per tutto un’antica favola, non sembra tracciare alcuna strada. Il disagio che sentiamo forse è proprio questo: sentiamo che veniamo attratti dentro lo splendore di una favola arcaica piena di vibrazioni oniriche e di significati, ma dopo un po’ ci ritroviamo senza un senso profondo vero e proprio, e l’opera, coi suoi toni barocchi e festosi ,ci appare – soprattutto verso il finale – come la festa dell’insensatezza. A volta mi pare di capire il perché. E’ un perché sbagliato, di parte, lo so, ma lo scrivo lo stesso perché forse potrà generare qualche pensiero giusto, utile a comprendere. Ecco qui: perché il Mercante parla soprattutto – e con l’aggravante della fatuità – di denaro. Questo è il tema principale. E in questo nostro periodo storico non è più un argomento ‘normale’. Sentiamo che c’è qualcosa di abnorme e di vertiginoso – oggi – nel pensiero del denaro. E l’affaticarsi degli uomini contemporanei per accumulare, governare, amare e odiare, reinventare il denaro, sembra arrivato a un punto tragico. Cioè insensato e mostruoso. Dentro il Mercante c’è dunque un mostro. Ma non è Shylock. E’ il denaro. Qualcuno, leggo, è ancora convinto che ci siano dei temi religiosi nel Mercante. Non voglio essere così irriverente da dire che non ce ne sono, ma credo che siano molto meno importanti di quel che sembra. Dio mi pare molto estraneo a questa faccenda (ammesso che ce ne sia qualcuna in cui non lo sia..). Credo che sia un dramma di amici ‘cristiani’, che si oppongono a un estraneo ‘ebreo’. Tra i due clan scorgiamo una differenza, però. I ‘cristiani’ sono tanti, mentre il clan ‘ebraico’ è rappresentato da un solo individuo. Insomma, il primo è un clan reale, l’altro solo presunto. Quindi, a conti fatti, siamo davanti alla lotta di tutti contro uno. E poi di uno contro tutti. Il diverso contro gli uguali. Ormai siamo troppo abituati alle storie dove chi è solo contro tutti, dopo un po’ di peripezie e di dolori, vince. O vince davvero (come Ulisse), o solo moralmente (come Cristo, e perfino King Kong). È un’abitudine che ha modellato la nostra psicologia senza contrasto dai tempi dell’Odissea fino ai Western. La terribile, umiliante, meschina sconfitta di Shylock – giusta o non giusta che sia – mi mette a disagio. Annuncio fin d’ora che, se mai farò questo spettacolo, starò dalla sua parte.

Del resto, il bene e il male si spostano di continuo nel corso della piece. Ora Shylock è buono; ora è cattivo. Ora Antonio è il male; ora il bene. Una legge è ingiusta, e poi è giusta. Una musica brutta di giorno, diventa bella di notte. Dipende dalle circostanze. Questa è una verità moderna e inattaccabile. È la morale della favola. La sua verità. La verità di una favola che rivela che non c’è nessuna verità, da nessuna parte. Eppure la vita può essere lo stesso una festa. Anche se il giorno stenta ad apparire. E non è notte né giorno in questa fine di favola.

È l’ora stramba del teatro, quando sorge una luna di carta, e il vento accarezza le foglie senza fare alcun rumore. Niente ci ferisce. Nemmeno la vita. Non c’è nulla di più lieve, al mondo, del nostro essere qui.

Insieme. Uguali.