lunedì 14 ottobre 2013

La cucina del Nero: Provenza

I profumi in tavola





Parlare della cucina provenzale è quasi imbarazzante: ci sono tante e tali meraviglie che non si sa proprio da dove iniziare.
Come per i colori, anche i sapori sono intensi, esaltati dagli umili profumi della garrigue, la boscaglia mediterranea tipica di questa costa: le foglioline degli arbusti sempreverdi e i ciuffi erbacei si trasformano in aromi dai toni regali. Rosmarino, menta, origano, maggiorana, verbena, santoreggia, timo, alloro, ginepro vengono mescolati con sapiente e antica pazienza donando ai piatti di verdure, carni e pesce quel "certo non so che" unico e inimitabile. Fanno eccezione finocchio selvatico e salvia, considerati da sempre i "no global" della situazione perché esigono di essere lasciati da soli a profumare le pietanze.
A dispetto dei seducenti barattoli e sacchetti che vengono venduti un po' ovunque ai turisti, le erbe di Provenza devono essere conservate seccate intere e non polverizzate o tritate. La capacità di saperle gestire nel lungo periodo era un requisito indispensabile, pare, affinché in passato un fanciulla venisse ben accolta dalla futura suocera: un mazzetto di timo con tracce di muffa poteva seriamente - e fra la costernazione generale - mettere in discussione il matrimonio.
Utilizzare le erbe aromatiche è un'arte, in apparenza modesta ma in realtà raffinata. E così democraticamente diffusa da queste parti che anche la più modesta delle trattorie offre piatti profumatissimi.




Niente roba per signorine 





Tanto sono intensi i colori di Provenza, tanto lo sono i sapori. Il tempo non ha intaccato la predisposizione dei suoi abitanti verso cibi di una certa...consistenza aromatica anche se qualche piatto, come alcuni esemplari di fauna locale, è a rischio di estinzione per quanto riguarda gli ingredienti originali. 
Prendiamo per esempio la salade niçoise; tutti noi ne conosciamo innumerevoli varianti ma la vera, unica ricetta è quella che risale al 1850, inventata per deliziare gli esigenti palati dei vescovi della contea: pomodori dell'orto, cetrioli, fave fresche (o cuori di carciofo), peperoni, cipollotti, tonno sott'olio (o filetti d'acciuga), uova sode, olive nere, aglio, basilico, sale e pepe nero macinato al momento. Quindi niente verdure cotte, niente patate, niente saporini delicati che invece spopolano fra le versioni addomesticate dei ristoranti continentali.
La niçoise nasce gagliarda e tale deve restare, non è roba per stomaci delicati o refrattari all'aglio e alla cipolla. 




Se poi a metà mattina si vuole provare l'ebbrezza del pan bagnat (altra inossidabile abitudine provenzale), ci si procura un fragrante pane rotondo di campagna, lo si taglia a metà, lo si ubriaca d'olio e lo si farcisce con la niçoise
Gran parte dei turisti che l'hanno provata è rimasta secca sul colpo, ma in compenso è trapassata felice.




Neanche il pesce




Ovvio che il pesce abbia sulle tavole provenzali il suo bravo posto d'onore. Una volta lo stoccafisso era il cibo delle mense povere ma non per questo mancava di regalità: veniva preparato in umido con pomodori e peperoni oppure, in versione "strong" con salsa di acciughe, aglio, olio e basilico. Oggi sfiora prezzi piuttosto alti ma è una prelibatezza alla quale qui nessuno rinuncia. 
Sul fronte delle zuppe di pesce invece si assiste allo scontro titanico fra due golosità in perenne competizione fra loro: la bouillabaisse, originaria di Marsiglia e accompagnata dalla rouille - mefistofelica salsa a base di aglio, mollica di pane e peperoncino rosso - e la bourride, tipica di Nizza, a base solo di pesce dalla carne bianca e servita con l'aïoli, salsa a base di aglio, olio, tuorli d'uovo. Le tengono compagnia altre due salse: l'anchoïade (base di pasta d'acciughe) e la tapenade (acciughe, olive nere e capperi). Forse nessuno di questi ingredienti sembra speciale ma assemblati e consumati qui hanno un sapore tutto particolare.
Le umili acciughe sono anche le primedonne della pissaladière: adagiate (come dicono quelli della cucina creativa) su una focaccia ricoperta di cipolle rigorosamente gialle, aglio, olive nere e spolverata di timo. 
La pissaladière si consuma calda, fredda, come antipasto, come piatto unico, camminando per strada o magari seduti ai minuscoli tavolini dei ristoranti, così piccoli che in qualsiasi altra parte del mondo scatenerebbero le proteste degli avventori e che qui, invece, sono occupati con divertita curiosità dai turisti e tranquilla abitudine dagli abitanti. 




Dolcezze e finezze




Per chiudere in bellezza un pasto provenzale non resta che dedicare l'ultimo angolino dello stomaco rimasto disponibile ai dolci locali. Anche in questo la cucina creativa ha ripreso antiche ricette riproponendole con varianti fantasiose ma noi preferiamo parlare di quelle tradizionali. Il panorama è vasto come quello che si gode dai monti a ridosso del mare. Il primo che avvistiamo è il nougat, parente strettissimo del nostro torrone, molto morbido e saporito, subito seguito da una coppia di caramelle, le Tartarinases al cioccolato e le Berlingots di Carpentras, minuscole e dal gusto intenso di menta. A Grasse invece vanno per la maggiore le Fougasettes, focaccine profumate al fiore d'arancio. Ad Avignone un bel ripasso di storia si gusta con le Papalines, a base di cioccolato "condito" con l'Origan du Comtat. A dispetto del nome, non si tratta di erbetta aromatica ma di un distillato di sessanta erbe (fortissimo) che crescono selvatiche sui contrafforti del monte Ventoux, il gigante di Provenza (1912 metri di altezza). Ad Aix si fa di solito la coda davanti alle pasticcerie che producono artigianalmente i calissons, seducente connubio fra mandorle e miele. Se proprio si è impazienti (ma in Provenza, per definizione, non bisogna mai avere fretta, se vi affannate vi guardano storto) non è il caso di rinunciare a una simile delizia: qualsiasi caffè o negozio di commestibili della città ne ha una buona scorta, già impacchettati e pronti per essere sgranocchiati passeggiando sotto i platani.
Fra le pareti domestiche invece di solito si preparano - specialmente durante il periodo natalizio - la tarte à la courge (zucca) molto simile a quella nostrana e la torta di erbette: due dischi di pasta con in mezzo un ripieno di erbette, pinoli, uva sultanina tenuti insieme da una dose - dipende dalla "sfumatura" alcolica che si vuole dare - di Pastis, conosciuto famigliarmente come "giallino", liquore a base di anice e altre erbe, servito allungato con acqua naturale e ghiaccio come aperitivo.
I macarones sono il prossimo "trattato". Per darvi un assaggio diciamo solo che sono una specialità ormai nazionale, come lo è il cioccolato. Qui nel centro di Cannes esistono tre, quattro negozi che dovrebbero essere costretti alla chiusura per ragioni di pubblica sicurezza: la gente si ferma di botto, estasiata negli occhi e nelle narici davanti alle loro vetrine, tutto un trionfo di cioccolato fondente, bianco, al latte, ai fiori, alle spezie. E per schiodarla da lì bisogna strillare perentori "più avanti ce n'è uno migliore!".




Tentazioni




Girellando per il centro di Cannes è difficile non fermarsi davanti alle pasticcerie e contemplare i profumati capolavori - soprattutto di cioccolato - che invitano alla trasgressione. C'e n'è uno, in particolare, che dovrebbe essere inserito a pieno diritto nella lista degli attentatori alla salute del genere umano: il macarone. Niente a che vedere con la pasta nostrana, anche se il nome è di origine italiana e l'amaretto morbido il suo antenato. Il macarone è un pasticcino a base di farina di mandorle e albume d'uovo, costruito come un bacio di dama e ripieno di crema. Arrivato in Francia nella prima metà del 1500 al seguito di Caterina de' Medici che stava per sposare il re Enrico II, il macarone incontrò subito i favori della corte. Poco importa se in seguito Caterina de' Medici divenne famosa per quella sua certa propensione a eliminare gli avversari politici con i veleni, il macarone ebbe la sua fulgida carriera per conto proprio e restò un classico delle tavole reali fino, dicono, all'ultimo pasto di Maria Antonietta.
Colorato, appena croccante all'esterno, morbido morbido all'interno e seducente, oggi viene farcito con ogni tipo crema. Compresa, ovvio, quella alla lavanda, la pianticella emblema della Provenza. La ricetta è semplice, l'unico vincolo...etico della preparazione è che la crema deve avere lo stesso aroma e lo stesso colore delle pasta che la racchiude. Insomma, una vera delizia.




I rosati figli del vento






Le competenze culinarie della Provenza vanno dalle Alpi al mare attraversando un ondulato territorio intermedio a volte dolce di vigneti, a volte aspro di boschi fittissimi e scoscesi. Nel raggio di pochi chilometri si passa dai trionfali vassoi di coquillage alla cacciagione di montagna e qualcosa di indigeno bisogna pur bere per accompagnare tanto ben di Dio.
Quando i Romani, con la scusa di aiutare Massalia (la futura Marsiglia) assediata dai Celti, arrivarono qui scoprirono con soddisfazione che i Greci, arrivati prima di loro, avevano già colonizzato le colline con i loro vitigni. Allora, come adesso, i contadini contavano su un prezioso alleato, il Mistral: vento freddo del nord che quando arriva nel golfo del Leone si ringalluzzisce per motivi tutti suoi e poi si avventa con vigore sulle coste e sui loro immediati dintorni spazzando via nuvole e umidità. E' un po' fastidioso da sopportare ma in compenso quando se ne va lascia cieli tersi e aria cristallina. Insomma è una specie di anticrittogamico naturale.
Così, la tradizione vinicola della Provenza vanta antiche ascendenze ed è anche supportata da una notevole capacità promozionale e di marketing, caratteristica naturale dei nostri cugini francesi e che noi italiani dovremmo copiare con molta umiltà. 
Infatti, gironzolando nell'interno della Provenza, ci si imbatte in una serie infinita di cantine grandi e piccole, eleganti e curate come tanti minuscoli château, invitanti e sempre pronte ad offrire un assaggio della loro produzione, messa in vendita a prezzi ragionevoli. 
L'ortodossia enologica provenzale vuole che i vini vengano prodotti da tre o più vitigni e per gli appassionati indichiamo i più diffusi: Grenache, Syrah, Carignan e Cisaut.
I bianchi sono pochini e gli esperti sostengono che il migliore provenga dai vigneti a strapiombo sul mare nei dintorni di Cassis.
I rosati sono il punto di forza della Provenza, coprono il settantacinque per cento della produzione locale e spaziano dai vinelli semplici a quelli più pregiati. La maggior parte di questi di solito arrivano dalla zona di Bandol, fra Marsiglia e Tolone. Possono anche essere invecchiati per una decina d'anni; tanta attesa viene ripagata da una evoluzione aromatica di grande carattere e piacevolezza. 
Tutti i rosati provenzali - dai più...quotidiani alle etichette prestigiose - accompagnano con entusiasmo i cibi definiti "difficili da abbinare": formaggi caprini, olive, qualche tipo di pesce come le sardine e si fidanzano pure con alcuni tipi di dolci. 
Non vi diciamo quali per non rovinarvi la sorpresa di venire qui e scoprirlo da soli.
I rossi rappresentano un quarto della produzione provenzale: il più famoso è di sicuro Châteaunuef du Pape di Avignone e Bandol. I vigneti dai quali proviene hanno una singolare caratteristica, sono naturalmente ornati da grossi sassi calcarei, i galets, che proteggono il terreno argilloso dalla intemperanze meteorologiche. Come tutti i loro affini vanno bene solo sottobraccio a piatti corposi e quindi sono poco adatti alle lunghe estati provenzali. Ma dall'autunno in poi spopolano e non c'è nulla di più gradevole che godersi il fuoco di un camino in loro compagnia. Con naturalmente il mare sullo sfondo.
Un'ultima curiosità: Nizza è l'unica grande città francese ad avere nel suo comune un vitigno meritevole dell'appellativo D.O.C.. 
E' il Bellet e prende il nome dalle pendici ripide di una montagnola proprio a ridosso della sua periferia. Quindici agricoltori producono ogni anno una piccola quantità di vini bianchi, rosati e rossi di grande qualità, tant'è che spesso si aggiudicano riconoscimenti prestigiosi.