giovedì 19 settembre 2013

Amare i libri

Non tutti amano i libri. Non è facile capire perché alcuni li vedano con disagio. Il motivo, credo, è che si sentono costretti. A scuola, ma anche nel resto della vita. Capita di “dover” leggere qualcosa che non ci interessa. Per lavoro, per studio, per burocrazia, per ogni sorta di “obblighi”. Ma non è quello il valore più importante. Usciamo dal mondo dei doveri e vediamo perché leggere può essere un intenso piacere.

Sono afflitto da inguaribile bibliofilia. E non ho la minima intenzione di ridurre la mia “dipendenza”. Non so immaginare una vita senza libri. Anche quando non ne sto leggendo uno, sono una compagnia indispensabile.

C’è qualcosa di straordinario nell’avventura di un libro. Ha un numero infinito di vite. Rinasce in modo nuovo ogni volta che qualcuno lo legge. Ciò che più conta non è che cosa ha scritto l’autore, è ciò che il lettore ci mette di suo.

Non si può leggere senza partecipare. Che un libro ci piaccia o no, che susciti in noi consenso o contrasto, piacere o fastidio, impegno o distensione, la lettura non è passiva.

Un libro che nessuno legge è un oggetto inerte (come un quadro che nessuno guarda – o una musica che nessuno ascolta, canta o suona). Ma nel momento in cui le mani lo aprono comincia un’esperienza inimitabile. Un dialogo con qualcuno che speriamo abbia qualcosa da dirci. Un pensiero che può essere nato migliaia di anni fa e si risveglia oggi, nuovo e diverso, nella nostra mente.

I libri non sono solo di carta. Per secoli e millenni sono stati di coccio, di papiro, di seta, di pergamena. Scritture sulla pietra o nella cera. Incise nel legno, nel marmo o nel metallo. O tramandate per “tradizione orale”. Oggi sono anche nelle macchine elettroniche e negli spazi smisurati della rete.

Ma vivono soprattutto nella memoria delle persone. Quanti libri che abbiamo letto sono “dentro di noi”, anche quando non ricordiamo precisamente da dove ci è venuto un pensiero, un dubbio o un’emozione?

Anche per chi lo scrive, un libro “vive di vita propria”. Si comincia con un’idea, un argomento, un progetto. Ma un po’ per volta cambia, si evolve, prende forma. L’autore diventa strumento, spettatore partecipe, di ciò che il libro vuole essere. Deve aiutarlo a mettere radici, crescere rami e foglie. Se un libro non ha un’anima, una sua autonoma identità, è difficile che sia un buon libro. Se non è vivo, indipendente, disobbediente, forse non meritava di essere scritto.

Quando è pubblicato (o comunque qualcuno lo legge) si apre anche per l’autore un nuovo percorso. Quando si ha la fortuna di incontrare un lettore, che ha il tempo, la voglia e la sincerità di spiegarci le sue percezioni, è affascinante constatare come un libro sia diventato, nella sua mente, diverso da come è per qualsiasi altra persona. E così si continua a imparare.

La vita miracolosa di un libro è immateriale (non per questo “astratta”). Ma c’è qualcosa di straordinario anche nel libro come oggetto. Quello di carta, s’intende (non è in alcun modo “antiquato” pensare e sentire che ancora oggi, e per un non labile futuro, questa è la migliore “incarnazione” di un libro – e anche la più durevole e affidabile).

Può essere un libro prezioso, un’edizione rara o particolarmente elegante. Può essere semplicemente un bel libro, ben curato, impaginato e stampato. O può avere una veste più modesta. Ma anche quando è apparentemente inerte in uno scaffale è una confortante compagnia – sappiamo che è sempre lì, in qualsiasi momento avessimo la necessità o il desiderio di aprirlo.

Amare i libri è un piacere di cui non ci si può mai stancare. Che sia rilassante o impegnativo, divertente o stimolante, gradevole o irritante, è un’esperienza che, in un modo o nell'altro  ci arricchisce. E siamo noi, lettori, a decidere quando e come la vogliamo vivere.



Questo testo è stato scritto come prefazione al catalogo di una libreria antiquaria.
Poi, nel maggio 2010, è stato pubblicato nella rivista “l’attimo fuggente”.

Giancarlo Livraghi