Spesso sprofonda, come un sasso. Oppure galleggia, come un legno, ma si allontana trascinato dalla corrente. Di solito scompare per sempre dalla nostra vista. Talvolta rispunta, inaspettatamente – dopo giorni, o mesi, o anni.
“Pluf” è anche la percezione mentale che abbiamo quando qualcosa, che sembrava interessante, si spegne nel nulla.
Può essere un’idea che scopriamo leggendo un libro, un giornale, qualcosa in rete o ascoltando una conversazione. Ci interessa, talvolta ci entusiasma. Facciamo il possibile per capirla, approfondirla, diffonderla, svilupparla. Ma prevalgono il silenzio e la superficialità. Nel perenne rimbombo dell’ovvio, del banale e dell’inutile, scompare. Per poi magari ricomparire come “nuova” in un altro contesto, dove (se non affonda) spesso finisce distorta e deformata, perdendo così valore e significato.
Può essere una nostra idea che, come è sempre necessario, sottoponiamo alla critica di altri. Se ci ascoltano, ci aiutano a chiarirla e migliorarla. Se il dialogo è interessante, un po’ per volta ci convinciamo che valga la pena di farla crescere. Talvolta succede. Più spesso, nonostante i consensi, finisce col perdersi. Pluf.
Può essere un’idea, un progetto, un’iniziativa che qualcun altro ci propone. Ci piace, facciamo tutto il possibile per appoggiarla ed evolverla. Investiamo tempo, attenzione, lavoro. Ma poi l’idea si perde nei meandri della distrazione e delle assenze. Chi l’aveva proposta scompare, preso da chissà quali “altri impegni”. Così impariamo, con dispiacere, a diventare diffidenti.
Forse è “colpa” nostra, perché non abbiamo capito bene, non abbiamo trovato il modo giusto per sviluppare un’idea o un progetto? Probabilmente, almeno in parte, è così. Ma ci sono evidenti “fattori pluf” che affondano anche le cose più intelligenti e meglio organizzate.
Uno dei più formidabili ostacoli è “non si può”. Ovviamente qualsiasi intenzione che non sia nei limiti del “già noto” si scontra con il fatto che “è impossibile” realizzarla restando nel solco dell’abituale e dei percorsi già tracciati. Ma non è un buon motivo per arrendersi.
Come diceva Antonio Machado, «se hace camino al andar» (“la strada si fa camminando”). Non ci può essere progresso se non tracciando un sentiero dove non c’è né strada né segnaletica.
Se un’idea è valida si tratta di capire come realizzarla, spesso facendo qualcosa di diverso da ciò che avevamo in mente, perché ci permette di ottenere meglio lo stesso risultato.
Un altro nemico – e il più feroce – è la fretta. Prima ancora che me lo dica qualcun altro, mi trovo spesso a dovermi dire “non avere fretta, ogni pianta ben coltivata deve avere il suo tempo per crescere, non quello che vorrebbe la tua impazienza”. È sempre stato vero, ma oggi lo è ancora di più, per quella “sindrome della fretta” che ho spiegato nel capitolo 16 di Il potere della stupidità.
Tutti stanno sempre correndo, spesso senza sapere dove vanno e perché. Il risultato è che spesso si sbaglia – e per rimediare ci vuole molto più tempo di quel poco (giorni, ore o minuti – talvolta secondi) che sarebbe servito prima per evitare di sbagliare strada o infilarsi in un vicolo cieco.
Ci sono anche le interferenze. Si è partiti con un concetto e un obiettivo. Lungo il percorso, qualcuno ne trova un altro (oppure si scopre che, per motivi egoistici o errori di prospettiva, ne aveva in mente un altro fin dall’inizio).
Che accadano cose di questo genere è praticamente inevitabile. Se ci fosse chiarezza, non sarebbe un problema grave. Ognuno decida dove vuole andare, si riorganizzino le collaborazioni e le convergenze in base alle intenzioni. Ma troppo spesso è proprio la chiarezza che manca. E così anche le idee migliori rischiano di sprofondare in un marasma di incomprensioni.
Talvolta può essere accettabile che qualcuno collabori senza condividere l’obiettivo o senza averlo capito. Se fa bene la sua parte, non è necessariamente un danno. Può anche essere utile. Ma l’importante è sapere che, anche se può farci compagnia per un tratto di strada, presto o tardi i percorsi si dovranno separare.
C’è un rimedio universale, una panacea per risolvere questi problemi? Che io sappia, no.
Ma sapere che esistono può essere molto utile. “Non tutte le ciambelle riescono col buco”. E se la ciambella che abbiamo in mente fosse meglio senza buco?
Per buona che possa essere un’idea o un’intenzione, è sempre migliorabile. Ciò che sembra perso nella palude può rinascere con un’apparenza diversa. Ciò che sembra un ostacolo può aiutarci a trovare un percorso migliore.
L’importante è non arrendersi mai, non sbagliare per miopia o “protagonismo”, soprattutto saper ascoltare. Se e quando c’è un imprevisto colpo di vento, o un giro di corrente, che può portare ciò che ci interessa nella direzione giusta, è meglio assecondarlo che remare faticosamente in senso inverso.
Se c’è un fornaio più bravo di noi, lasciamo che sia lui a fare la ciambella – e a metterci la firma. A condizione che anche lui sappia ascoltare e non sforni qualcosa che non c’entra.
Si parla tanto di “gioco di squadra”. Ma è raro che si riesca a farlo abbastanza bene. Non è solo questione di “altruismo” (anche se un po’ di generosità non guasta mai ed è sempre importante “mettersi nei panni degli altri”). Occorre capire che quando nasce l’armonia i risultati sono enormemente migliori – e l’atmosfera è straordinariamente più gradevole.
Giancarlo Livraghi: pluf