sabato 21 settembre 2013

Intervallo metafisico 1

Entrare in un supermercato francese durante la stagione estiva è un’esperienza mistica. 
Infatti si capisce finalmente che la frase “la carne è debole ma lo spirito è forte” può essere ribaltata e offrire insospettabili spunti di riflessione. 
Non per aver rinunciato alle seduzioni di chissà quali offerte commerciali ma per aver incontrato le rappresentazioni viventi della determinazione alla sopravvivenza. 
Che qui è messa a dura, durissima prova.

Entrando tutto sembra come da noi in Italia, ci concediamo solo una sosta riverente nella zona “pane” dove l’apoteosi della tradizione è una costante: la baguette regna ancora sovrana seppure ormai mortificata dalle regole comunitarie che ne impediscono il classico trasporto ascellare “dal vivo” imponendole l’onta del preservativo cartoplasticoso. 
Ma siamo di fretta, ci serve un tubetto di dentifricio, abbandoniamo con un sospiro l’area profumata di forno e procediamo baldanzosi verso le viscere delle corsie. 
Intorno c’è il solito turbinio di mamme con passeggini ingombranti come SUV, pronte a falcidiarti le caviglie con il più incantevole dei “pardon”, gente dalle stazze e dalle età variegate impegnata nella contemplazione assorta dell’immenso banco del pesce o intenta a scegliere strani ortaggi dai colori e nomi inquietanti, la Francia ospita molte etnie e i frutti del colonialismo sono lì da vedere. 

Mentre avanziamo la temperatura si abbassa sensibilmente ma non ci facciamo troppo caso, succede anche da noi. 
La zona “formaggi e latticini” biancheggia due o tre corsie più avanti, ci viene in mente che a casa stamattina il latte era quasi finito e decidiamo di prenderlo. Colei che con noi divide avventure e disavventure esistenziali sarà deliziata da un gesto così premuroso, vabbè, non è un mazzo di fiori ma rimane sempre un pensiero carino.
Doppiato l’espositore dell’insalata prelavata facciamo un paio di passi e veniamo investiti da un soffio gelido che quasi ci toglie il fiato: cavoli, non ci siamo mai stati ma questo è davvero come Capo Horn, mancano solo le onde. Ci blocchiamo perplessi e alziamo la testa cercando in aria il bocchettone dell’aria condizionata che per forza di cose deve essersi rotto appena un momento fa. 
Invece niente, tutto sembra a posto. Anche la gente intorno non mostra segni di disagio. Noi detestiamo il colletto della polo rialzato, è roba da fighetti senza personalità ma adesso lo tireremmo su volentieri, giusto per proteggere la cervicale mentre un brivido saetta su e giù per la schiena strombazzando un maligno “vedrai fra un’oretta che mal di testa”. 
Insomma, qui dentro fa un freddo porcello.


Ma la cosa più sconvolgente, sbalorditiva e all'inizio anche umiliante (ecco il perché dell’esperienza mistica di cui sopra) è che mentre restiamo lì semiparalizzati intorno a noi, guizzanti come pesciolini in un acquario, si muovono personaggi indiscutibilmente âgé: a dispetto delle permanenti, delle unghie laccate rosa fucsia o rosso pompeiano, delle camicie hawaiiane e dei bermuda a cavallo basso (bella la moda quando viene incontro alle esigenze anagrafiche, eh?), l’età media deve essere intorno agli ottanta. 
Nessuna di queste persone, ma proprio nessuna nessuna, ha sulle spalle l’ombra di un golfino, di una sciarpina, di un qualsiasi fottutissimo gilet. 
Garruli e vivaci, vestiti leggeri e pronti per andare in spiaggia scelgono con entusiasmo formaggi e mousse e ricotte a una temperatura che si aggira intorno ai (forse) cinque/sei gradi centigradi.

Mentre sentiamo i peli della barba irrigidirsi dal gelo – magari si sta formando anche la brina, non lo sappiamo, per fortuna nel reparto mancano gli specchi – un pensiero e una domanda si fanno strada fra i ghiaccioli del cervello: perbacco, nei “formaggi e latticini” ci sono solo loro, ma perché lì sono così tanti? Cos'è, una terapia di gruppo? Un preallenamento all'ibernazione che pretende l’immortalità? Una tacita dimostrazione di resistenza a qualsiasi calamità? Un “guardate che anche voi ce la potete fare se vi impegnate”?
Pensiamo a nonna Martina che in inverno sul Lago Maggiore per lavarsi al mattino rompeva lo strato di ghiaccio nel catino prendendolo a energiche saponate.

E mentre usciamo verso i venticinque gradi della Croisette pensiamo anche che tutto questo è una gran bella cosa e che dobbiamo fare del nostro meglio per meritarcela. 
Ricordandosi, nel frattempo, di comprare pure il dentifricio.